Staccare dalla presa i Mac che sono rimasti sempre accesi per anni, spegnere le luci prima di dare le mandate alla chiave della porta della redazione: L’inchiesta-Quotidiano - versione digitale - erede de L’inchiesta Quotidiano cartacea (che è stata in edicola dal dicembre 2010 al marzo 2020), a sua volta discendente diretta de l’Inchiesta settimanale (uscita nel 1995 e rimasta attiva fino al 1999), si congeda oggi dai lettori e sospende le pubblicazioni. Sospensione fatta con amarezza ma con la speranza che non sia un addio definitivo, visto che il lavoro continua per il portale in smart working.
Si conclude, però, un terzo ciclo della nostra pubblicazione. Resterà ancora attivo il sito www.linchiestaquotidiano.it con il compito di mantenere viva e produttiva ancora la testata, la cui proprietà è della Coorperativa Editoriale L’inchiesta. Alcuni di coloro che hanno seguito il nostro percorso intrapreso 12 anni orsono hanno scritto di noi su queste pagine. Senza autocelebrazioni, e meno che mai col fine di stilare un necrologio, possiamo però trarre alcuni bilanci. Innanzitutto affermare che L’inchiesta-Quotidiano è stato un caso raro di autentica autogestione giornalistica.
Proprio per questo ha potuto svolgere liberamente la sua attività di informazione per l’acqua pubblica, contro lo scandaloso ciclo dei rifiuti, denunciando l’inquinamento prodotto anche dall’imprenditoria predatoria e dalla politica accondiscendente. Si è impegnato al fianco degli ultimi, dei senza lavoro, dei giovani, degli immigrati che meritano rispetto oltre che accoglienza dignitosa. Ha conservato un profilo di netta critica nei confronti delle scelte delle élite politiche e dirigenti che continuano, imperterrite, a gestire gli enti con criteri clientelari e novecenteschi, oltre che all’insegna dell’inefficienza e dell’occupazione di posti retribuiti e di spartizione delle consulenze. Non è un caso se - tanto per citare l’ultimo esempio - molti lettori abbiano riconosciuto nelle cronache sulla stipendiopoli dell’Egato dei rifiuti di Frosinone - ente inutile che costerà almeno 2 milioni e mezzo d’euro l’anno a spese dei contribuenti - un elemento distintivo della nostra informazione rispetto ad una parte non marginale del resto delle testate.
Allora, cosa ci induce a sospendere le pubblicazioni? La fatica a mantenere oltre lo sforzo economico nei termini che hanno consentito di editare il giornale, cartaceo prima e digitale fino ad oggi. La novità di inizio dicembre di una previsione di riduzione dei contributi per l’editoria che la presidenza del Consiglio destina alla nostra testata, è stato il motivo per cui adesso siamo costretti a ridurre l’attività giornalistica. Ma va chiarito che non c’è recriminazione verso lo Stato italiano che ha fatto in pieno il suo dovere, sostenendo negli ultimi anni la nostra iniziativa, pagando stipendi ai giornalisti e il lavoro delle tipografie.
La verità è che ci sono difficoltà crescenti del mercato della pubblicità ed anche di quello dell’informazione, con i problemi nel vendere copie e abbonamenti, anche on line e nonostante il successo del nostro sito (tra i primi della provincia di Frosinone e di tutto il Lazio meridionale quanto a numero di contatti unici. Distanziando anche molti blog perennemente entusiasti dei protagonisti sulla scena del potere). A tutto questo si aggiunge il rammarico. Perché potevamo sicuramente fare meglio e di più, oltretutto di fronte all’occasione di un’informazione libera che abbiamo avuto per le mani, senza probabilmente saperla conservare e tutelare per un tempo più lungo.
Il grazie è d’obbligo per i colleghi che sono stati in organico della nostra coop e che ci hanno lasciati per tempo; grazie soprattutto ai colleghi che sono rimasti anche in questi momenti di difficoltà senza precedenti (Rita Cacciami, Fernando Riccardi, Alba Spennato, Roberto De Luca e Ornella Massaro quest’ultima si è sempre occupata della gestione amministrativa della cooperativa); grazie a tutti gli inserzionisti che in questi anni non hanno fatto mancare la loro pubblicità ed anche a quelli che l’hanno confermata fino ad oggi (Ecoliri di Davide Papa, Uniopl di Luigi Capezzone, l’imprenditore Gianni Ferone, Bpc, Assitec, lo studio tecnico di ingegneria di Alessia Mentella, Lineaufficio), dando il loro contributo alla causa di una informazione indipendente per il Lazio meridionale.
L’inchiesta-Quotidiano si è anche caratterizzata per una analisi dei fatti ancorata alla geografia della nostra regione: il punto di osservazione sistemato a Cassino è stato sempre rivolto all’intero Lazio meridionale, tanto che oggi il nostro sito parla “delle” e “alle” due province di Frosinone e Latina. Questa visione d’insieme non ha a che vedere, come qualcuno ha dato ad intendere, con campanilismi o finanche spinte neoborboniche, ma fa semplicemente i conti con realtà che sono cambiate e non si riconoscono nella presenza di confini politici tra province, anacronistici per l’epoca stessa in cui vennero concepiti e disegnati, superati dall’economia, dall’evoluzione sociale, destinati a scomparire prima o poi. Per questo siamo l’unico giornale ad aver sempre denunciato l’inutilità delle province e la necessità di concepire un nuovo decentramento amministrativo sulla base della nascita di strutture leggere, ideate per governance di area vasta, che siano, appunto, socialmente ed economicamente omogenee: Frosinone e la Ciociaria, Sora e la Valcomino, il Cassinate ed il Golfo, Latina e l’area pontina propriamente detta.
Questa storia dei confini provinciali ha, del resto, molto a che vedere con la partitocrazia che continua ad imperversare nonostante sia stata ormai messa sotto accusa dalla storia che viviamo, in un mondo fatto di flessibilità, velocità, abbattimento dei privilegi, superamento delle mediazioni, richiesta di partecipazione sempre più diretta dei singoli alle scelte che contano per le comunità. Da qui anche il fenomeno allarmante dell’astensionismo e della sfiducia in quel che resta della democrazia. Cambiamenti in corso grazie anche ad una informazione uscita dalle stanze segrete dei direttori dei giornaloni e dei direttori dei Tg delle reti nazionali, finita nelle mani di tutti come è più giusto che sia, sfuggita al controllo delle lobby di vario tipo, dei potenti e dei politici abituati a trattare i cronisti come addetti stampa a libro paga. Compito di chi fa informazione oggi non può non essere anche quello di impegnarsi ad assecondare la svolta epocale in atto per restituire uguaglianza a tutti i cittadini, fare in modo che non si verifichino altre assunzioni in stile Allumiere, che la democrazia e la trasparenza vadano a braccetto col merito e con la riattivazione dell’ascensore sociale.
Un giornale, sia pur digitale, che sospende le pubblicazioni non dovrebbe impegnarsi a parlare del futuro del territorio. Eppure in questi anni il problema è sempre e solo stato questo: a più riprese abbiamo tentato di ragionare in campo aperto - al di là di confini e degli interessi contrari delle caste - del futuro possibile per tutti. L’automotive in mano a Stellantis è una catastrofe annunciata, Piedimonte è un sito fermo e non sarà il Grecale a cambiare le cose. La politica regionale e locale si impegna in altro. Ad esempio a prendere consulenze da 45mila euro per non far niente e facendo finta di niente. Spendere energie e strategie sulle province e sulle alleanze trasversali per conquistare una presidenza, tanto per dirne un’altra, è roba vecchia e soprattutto un magheggio che è impensabile nascondere all’opinione pubblica. Proprio mentre ci si dimentica della qualità della vita dei quartieri periferici. Chi fa cose del genere non è cosciente della rivoluzione mentale che ha prodotto presa di coscienza nell’opinione pubblica più informata ed attiva coi social, l’astensionismo dilagante da una parte ed il fenomeno del 32% dei consensi ai Cinquestelle dall’altra.
Già i Cinquestelle: unica forza che era sembrata in grado di portare una ventata di cambiamento, rimuovendo le incrostazioni. Come quelle della gestione dell’acqua e delle nostre fonti, finite nelle mani delle multinazionali francesi: sistema risultato intoccabile nonostante il noto referendum. “Acqua pubblica, che utopia”. “Non si può fare per legge”. “Il privato è più efficiente”. I dogmi a difesa del guadagno degli sfruttatori dei beni comuni sono tanti e vengono non di rado invocati anche da sindaci e politici che preferiscono sistemare amici e parenti in posti di lavoro coi gestori. Più incrostazioni di queste non ce n’è (chiedere ai primi cittadini quando pretenderanno da Acea la liquidazione degli oneri concessori che spettano ai Comuni). “Ma non sarete troppo piccoli e scarsamente influenti per sperare di ottenere un qualche risultato pratico? O di mobilitare una parte significativa di opinione pubblica?” Vi sarete chiesti scorrendo questa riflessione di fine corsa. Probabilmente sì.
Ma servirà pur qualcuno che scriva che il pericolo per le istituzioni e la democrazia oggi non è certo costituito dalle fake news bensì dagli stipendi da 10mila euro ai politici - oltretutto incompetenti - che si accomodano negli enti pagati da tutti. Che il reddito di cittadinanza ha salvato dalla fame intere famiglie e non è solo uno strumento per sollazzare imbroglioni e pregiudicati. Che le province vanno abolite, altro che ritorno agli elettori, e chi non ha fatto altro nella vita se non incassare emolumenti è bene che vada a casa. Almeno dopo il secondo mandato. Non ha alcun diritto di occupare a vita gli scranni, elettivi o meno che siano. Sicuramente il nostro è stato un posto di osservazione scomodo, senza inviti a partecipare a eventi di prima fila, con la prima pagina eliminata dalle rassegne stampa come se non esistesse, citati il meno possibile in qualsiasi contesto. Non c’è vittimismo in queste annotazioni, semplicemente la presa d’atto che siamo stati in fondo antipatici a tanti. Ci rivolgiamo in conclusione agli amici, anche a coloro che hanno apprezzato, senza neanche comprare una copia digitale. Che hanno capito la sofferenza del dipendere dal solo stipendio dell’editore che non paga, o dà unicamente miseri acconti. Della ricerca della dignità basata sul rifiuto di vendere articoli e informazione. Il sogno resta l’indipendenza. Il miracolo è stato aver percorso un bel tratto insieme.
Ora restiamo su uno spuntone sull’orlo della informazione più nota e paludata. Solo dopo la notte sapremo se potremo tornare.
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